Europee

A pochi giorni dall’annuncio della candidatura con Forza Italia alle Europee, abbiamo intervistato Alessandra Servidori, docente universitaria, membro del Consiglio d’indirizzo della politica economica della presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Draghi ed ex sindacalista.

 

concessa dall'intervistata

Alessandra Servidori, foto concessa dall'intervistata

 

Esperta di lavoro, welfare, diritti. Cosa porterà della sua esperienza in Parlamento Europeo?

«Ho frequentato il contesto europeo come tecnica al servizio delle istituzioni italiane. Se mi sarà data l’opportunità, porterò un atteggiamento realistico in uno scenario di profonda trasformazione. Gli impatti si vedranno sulle professioni che stanno mutando, generando una nuova domanda di professionalità dalle imprese, nuovi modelli di organizzazione del lavoro e di welfare, fino ad ampissime conseguenze sulla struttura dei mercati, caratterizzati da un’idea di stabilità, basata non sul posto di lavoro ma sulla costruzione di carriere discontinue e professionalizzanti e su un ruolo contrattuale, che tuteli anche il cosiddetto lavoro povero».

 

Perché ha deciso di candidarsi con Forza Italia alle prossime Europee?

«Terminata l’era del presidente Berlusconi, seguendo il ruolo di Tajani, Bernini, Bergamini e in Emilia-Romagna Castaldini e Tassinari, sono stata invitata a partecipare al percorso congressuale con proposte concrete. Anna Maria Bernini mi aveva già chiesto di candidarmi alle Regionali ma alcuni problemi di salute non mi avevano concesso la forza per affrontare l’impegno. Ora ho deciso di accettare la proposta, anche perché mi è stata fatta con garbo, soprattutto affermando che il mio nome non “è divisivo” e che valesse molto la mia robusta esperienza».

 

Il segretario Antonio Tajani (Fi) punta a raggiungere il 10%. Si tratta di un obiettivo raggiungibile?

«È credibile perché Tajani è prudente. Si è assunto un impegno che dimostra quanto sia complicato portare avanti un ruolo di equilibrio in una coalizione, dove Forza Italia fa da bilancia concreta. È sacrosanto avere coraggio sulla base della situazione economica che ci troviamo a gestire. Il debito ci toglie la terra sotto i piedi e comporterà scelte di rientro, razionalizzazione della spesa pubblica e ridistribuzione della produttività, che bisogna rilanciare per essere competitivi in un’Europa unita. Bisogna lavorare sodo ma ce la si deve fare».

 

La maggioranza di governo con l'inserimento dei gruppi pro-vita nei consultori ha generato un confronto con le opposizioni. La legge 194 è in pericolo?

«La legge 194 è legge dello Stato che non possiamo sempre definire come la legge che difende l’aborto. È una legge che abbiamo voluto e confermato. Dobbiamo essere onesti: contavamo molto sul ruolo dei consultori falciati anche da una sanità in affanno. Strutture pubbliche dove è già previsto il ruolo dell’associazionismo di tutto l’arco istituzionale e del terzo settore. La parola “diritto” è contemplata anche per medici obiettori. Il problema vero è che in alcuni presidi sanitari non si assicura alle donne il diritto di interrompere la gravidanza e, dunque, il loro diritto all’autodeterminazione, facendo mancare gli operatori socio sanitari e un percorso protetto. Su questo dobbiamo impegnarci, non su altro, perché, comunque, rinunciare è dolorosissimo per le donne».

 

Su quali aspetti del lavoro intende concentrarsi in Unione Europea qualora venga eletta?

«Il calo demografico. La sfida migratoria può far immaginare la tendenza all’invecchiamento, alla fragilità delle persone non autosufficienti e ai cambiamenti della popolazione. Ciò comporterà pressioni sulla sostenibilità dei sistemi pubblici di welfare, lavoratori e lavoratrici in media più anziani da gestire insieme a una spinta all’innovazione rivolta ai giovani con costante aggiornamento di competenze, potenziando tirocini e apprendistato, che ancora languono nel rapporto tra imprese e percorsi formativi. Incentivare nuovi modelli di organizzazione del lavoro è fondamentale, soprattutto per lavoratori e lavoratrici fragili».

 

Rispetto alla legislazione europea su questo tema, quali riforme crede siano opportune?

«La riforma della sicurezza con un confronto serio sulla possibilità di un processo di unificazione di regolamentazione sul lavoro a livello europeo, in modo da ridurre i livelli di regolazione e adattamento a livello nazionale, che hanno penalizzato il nostro Paese. Semplificazione è la parola. Poi, ripensare il sistema previdenziale, senza distruggere quanto fatto nel tutelare le transizioni occupazionali, e costruire un sistema che garantisca chi si affaccia sul mercato del lavoro. Inoltre, bisogna ripensare le politiche attive. Sarebbe importante prevenire o gestire in anticipo la disoccupazione con interventi in fase di uscita del lavoratore dall’impresa in caso di risoluzione consensuale, licenziamenti individuali e collettivi. Allo stesso modo andrebbero sperimentati strumenti moderni di accompagnamento delle transizioni occupazionali, essenziali nel nuovo welfare della persona».

 

E dal punto di vista fiscale?

«Il sistema fiscale è da approfondire, cominciando dal quadro per l'imposizione dei redditi delle imprese in Europa. Le regole saranno discrezionali per i gruppi più piccoli, che potranno scegliere di aderire purché redigano bilanci consolidati. Oltre al pacchetto Iva digitale, sono da segnalare altre due iniziative legislative in negoziato. La prima è una proposta di direttiva che introduce un quadro normativo dell’Ue per l’esenzione dalle ritenute alla fonte in eccesso sugli investimenti transfrontalieri in titoli (azioni e obbligazioni negoziate in borsa). Lo scopo è evitare una doppia imposizione, ridurre rischi di frode o abuso fiscale e sostenere il funzionamento dell’Unione dei mercati dei capitali, agevolando gli investimenti transfrontalieri. La seconda propone di stabilire norme per prevenire l'uso improprio di entità di comodo a fini fiscali (Unshell). La Commissione intende impedire che le società di comodo dell'Ue beneficino di vantaggi fiscali. Uno degli elementi fondamentali della politica fiscale dell'Ue è anche la cooperazione amministrativa attraverso scambi di informazioni tra gli Stati membri, che contribuiscono all'efficace riscossione delle entrate».

 

In apertura il Parlamento Europeo. Foto Ansa